Picasso e l'arte africana
Nonostante l’infinito elenco di crudeltà che le popolazioni africane hanno dovuto subire nel corso dei secoli, l’Africa è riuscito a mantenere intatta la propria anima. Gli schiavi africani, brutalmente innestati nel Nuovo Mondo, cantavano nelle piantagioni per alleviare la propria stanchezza e non pensare alle proprie radici rubate. Dalla semplice volontà di mantenere la propria umanità nasceva l’arte.
In America Arte africana era illegale negli stati schiavisti ed era comunque rara negli stati del Nord almeno fino alla Guerra di Secessione. In Europa l’atteggiamento era diverso. Per mostrare quanto bene si stesse facendo in quelle "terre incivili", si ricorreva a esposizioni di oggetti africani, nell'intento di convincere l'opinione pubblica della superiorità della civiltà occidentale e, quindi, della necessità di una presenza "civilizzatrice". Le mostre organizzate in tutte le principali città europee finirono per influenzare i più importanti artisti europei, che cominciarono a collezionare e realizzare opere ispirate a questi oggetti africani.
Agli artisti dell'Occidente piaceva dell'arte africana soprattutto il linguaggio potente, stilizzato e fortemente espressivo. Le figure femminili suggerivano armonia e fertilità, mentre le figure maschili o di animali esprimevano forza e maturità.
Un grande artista che prese molto dall’arte africana è sicuramente Picasso. L'arte negra, per Picasso, voleva anzitutto dire spontaneità, fedeltà agli istinti e alle passioni, ma anche superamento delle tradizionali leggi prospettiche. Egli seppe cogliere nell'arte africana l'espressione di un diverso rapporto tra uomo e natura, dato da immediatezza, semplicità e sintesi delle forme. Il linguaggio della scultura africana, in particolare, era costruito su segni codificati: un rettangolo per la bocca, un cilindro per gli occhi, un foro delle narici per il naso, e così via.
A Picasso non è mai importato nulla del contenuto etnografico delle sculture africane. Egli s'interessò unicamente delle forme, contro i canoni accademici (quelli del realismo borghese e aristocratico) che non voleva più rispettare. Picasso intuì tutta la carica emotiva che maschere e statue di quel continente offrivano per cercare e trovare nuove concezioni dell'arte: “L'opera deve creare forme, non imitarle. E questo, lo scultore africano l'ha sempre saputo”.
Come tanti altri, anche Picasso collezionò oggetti africani, tanto da riempirne i suoi atelier: in essi scopriva «sempre nuove possibilità di espressione formale», che fu l'ossessione della sua vita. A partire dal 1907, soffrì quella che è stata definita la "crisi nera", dopo aver visitato il Musée de l'Homme ed essersi sentito affascinato dal carattere concettuale e simbolico delle statue africane.
Nella produzione artistica di Picasso si distingue proprio il “periodi africano” (1907-1909). Se ne considera l’inizio il quadro Les demoiselles d’Avignon. Le idee sviluppate in questo periodo portano alla successiva fase cubista e Les demoiselles d’Avignon è il dipinto che mostra i primi esperimenti del pittore in questa direzione.
In America Arte africana era illegale negli stati schiavisti ed era comunque rara negli stati del Nord almeno fino alla Guerra di Secessione. In Europa l’atteggiamento era diverso. Per mostrare quanto bene si stesse facendo in quelle "terre incivili", si ricorreva a esposizioni di oggetti africani, nell'intento di convincere l'opinione pubblica della superiorità della civiltà occidentale e, quindi, della necessità di una presenza "civilizzatrice". Le mostre organizzate in tutte le principali città europee finirono per influenzare i più importanti artisti europei, che cominciarono a collezionare e realizzare opere ispirate a questi oggetti africani.
Agli artisti dell'Occidente piaceva dell'arte africana soprattutto il linguaggio potente, stilizzato e fortemente espressivo. Le figure femminili suggerivano armonia e fertilità, mentre le figure maschili o di animali esprimevano forza e maturità.
Un grande artista che prese molto dall’arte africana è sicuramente Picasso. L'arte negra, per Picasso, voleva anzitutto dire spontaneità, fedeltà agli istinti e alle passioni, ma anche superamento delle tradizionali leggi prospettiche. Egli seppe cogliere nell'arte africana l'espressione di un diverso rapporto tra uomo e natura, dato da immediatezza, semplicità e sintesi delle forme. Il linguaggio della scultura africana, in particolare, era costruito su segni codificati: un rettangolo per la bocca, un cilindro per gli occhi, un foro delle narici per il naso, e così via.
A Picasso non è mai importato nulla del contenuto etnografico delle sculture africane. Egli s'interessò unicamente delle forme, contro i canoni accademici (quelli del realismo borghese e aristocratico) che non voleva più rispettare. Picasso intuì tutta la carica emotiva che maschere e statue di quel continente offrivano per cercare e trovare nuove concezioni dell'arte: “L'opera deve creare forme, non imitarle. E questo, lo scultore africano l'ha sempre saputo”.
Come tanti altri, anche Picasso collezionò oggetti africani, tanto da riempirne i suoi atelier: in essi scopriva «sempre nuove possibilità di espressione formale», che fu l'ossessione della sua vita. A partire dal 1907, soffrì quella che è stata definita la "crisi nera", dopo aver visitato il Musée de l'Homme ed essersi sentito affascinato dal carattere concettuale e simbolico delle statue africane.
Nella produzione artistica di Picasso si distingue proprio il “periodi africano” (1907-1909). Se ne considera l’inizio il quadro Les demoiselles d’Avignon. Le idee sviluppate in questo periodo portano alla successiva fase cubista e Les demoiselles d’Avignon è il dipinto che mostra i primi esperimenti del pittore in questa direzione.
L'influsso dell'arte nera si rifletté anche nelle sue sculture. Dopo la sua visita al Vecchio Trocadéro, Picasso cominciò a scolpire il legno, il materiale più usato da tutti gli artisti africani. Volle che le sue statue trasmettessero quell'espressività che aveva osservato nelle loro opere, nell'intento di «ricreare le cose e di presentarle in maniera differente e sotto altre prospettive». Ma non ci riuscì.
All'inizio degli anni Venti, molti artisti europei abbandonarono l'infatuazione per l'arte nera. I surrealisti la condannarono per il suo formalismo, il suo realismo occasionale e, soprattutto, per la "falsificazione" nei suoi contatti occasionali con l'Europa, e si rivolsero all'arte dei popoli dell'Oceania, ritenuta più lirica, innocente e fantasiosa. Picasso, però, non abbandonò mai l'estetica africana; anzi, ad essa si rivolse in momenti successivi della sua vita, per rivitalizzare la propria ispirazione. Gli esempi abbondano.